SIFA National Conference 
Bologna, September 23-26, 1998
Science, Philosophy and Common Sense
Abstracts 
 
Mario De Caro (decaro@phil.uniroma3.it) (mdecaro@fas.harvard.edu) 
Università di Roma 3 

Determinismo e libertà metafisica 
 

La cesura interna alla filosofia contemporanea di matrice analitica tra quanti concepiscono l'indagine filosofica come un'impresa intellettuale sostanzialmente contigua alla scienza per metodo, contenuti e finalità e quanti avversano tenacemente tale impostazione si manifesta oggi in tutta chiarezza nel dibattito riguardante la veneranda questione della libertà metafisica (ciò che, con tono un po' antiquato, si dice anche "libero arbitrio"). Il nodo centrale di tale dibattito è rappresentato dalla questione della compatibilità tra libertà metafisica e determinismo. In questa prospettiva, il punto non è tanto se il mondo attuale sia o non sia deterministico, quanto piuttosto se la libertà sia inconciliabile in linea di principio con la necessità propria della causazione nomologica. I difensori del compatibilismo (da P. Strawson a D. Dennett, da G.H. von Wright a A. Kenny), rifacendosi alle tesi di Hobbes e della tradizione empiristica nonche', più direttamente, alle analisi dei neopositivisti (Schlick, Ayer) e di G.E. Moore, negano recisamente che in un mondo deterministico non vi sia spazio per la libertà (con le parole di Davidson: «Hobbes, Hume, Moore, Schlick, Ayer, Stevenson e un gran numero di altri autori hanno fatto tutto ciò che può essere fatto, o tutto ciò che si dovrebbe fare, per rimuovere le confusioni che inducono a ritenere che il determinismo elida la libertà»). Molti, peraltro, si spingono ancora oltre, affermando che la nozione di libertà metafisica presuppone quella di determinazione.
Una tale concezione trova la propria ragione ultima in un'assuzione metafisica di impronta scientifica (o scientistica, secondo gli autori non simpatetici) che grosso modo può essere così articolata: la fisica dimostra che, almeno a livello macroscopico, nei loro movimenti i corpi manifestano comportamenti sostanzialmente deterministici; se dunque si accetta un'ontologia naturalistica d'impronta fisicalistica (come fanno la maggior parte dei filosofi analitici contemporanei), si deve riconoscere che le azioni degli esseri umani, non potendo rappresentare un'eccezione alla legalità naturale, ricadono completamente nel quadro della struttura nomologico-causale che governa l'universo microscopico. Si deve da ciò concludere (come facevano gli illuministi) che l'idea di libero arbitrio sia solo una fantasia dei filosofi? Assolutamente no, sostengono i compatibilisti: se si rinuncia, infatti, alle velleitarie pretese metafisiche di quanti pretendono di assegnare agli esseri umani uno statuto ontologico speciale, diviene evidente che non c'è nulla di contraddittorio nell'idea di azioni che siano, nello stesso tempo, libere e determinate. Così si esprime in proposito Quine: «Al pari di Spinoza, Hume e di tanti altri, io ritengo che un'azione sia libera nel caso in cui i motivi o le pulsioni dell'agente rappresentino un anello nella catena causale che conduce a quell'azione». L'atto volitivo, qualora sia libero da costrizioni esterne, garantisce in questa prospettiva la libertà dell'azione; tale atto tuttavia, non è che l'anello finale di una catena causale di eventi totalmente determinati. Secondo i difensori del compatibilismo, ritenere che ciò non sia sufficiente per definire la nozione di libertà - ritenere in particolare che la deliberazione umana debba essere incausata o causata non deterministicamente, come pretendono gli incompatibilisti -, significa ricadere in un'inaccettabile forma di oscurantismo metafisico.
L'incompatibilismo - che ha in S. Clarke, T. Reid e W. James i propri precursori - difende un punto di vista del tutto antitetico a questo e vede uniti nella polemica anitiscientistica autori di formazione europea, per i quali ha giocato un ruolo decisivo l'insegnamento del secondo Wittgenistein (G.E. Ansconbe, N.Malcom), e filosofi americani che hanno reagito, in varia misura, al paradigma naturalistico oggi dominante negli Stati Uniti (R. Chisholm, P.Inwagen, C. Ginet). Gli incompatibilisti fanno appello a un'intuizione prefilosofica che è, a loro giudizio, nitidamente sedimentata nell'uso quotidiano del termine "libertà": secondo tale intuizione, la nozione metafisica di libertà non implica soltanto l'assenza di costrizioni esterne e l'esistenza di un nesso causale tra ragioni e azioni (condizioni su cui i compatibilisti concorderebbero), ma anche (e fondamentalmente) la "possibilità di fare altrimenti", la quale parrebbe completamente preclusa in un mondo deterministico. A questa obiezione i compatibilisti hanno tradizionalmente risposto offrendo un'analisi condizionale della nozione di "poter fare altrimenti": un'azione, in tale ottica, è libera se e solo se l'agente avrebbe potuto compiere una diversa azione qualora lo avesse desiderato. Secondo gli incompatibilisti, tuttavia, tale risposta è del tutto insoddisfacente e negli ultimi anni alcuni di loro (van Inwagen, D. Wiggins) hanno proposto diverse versioni di un argomento (il "Consequence Argument") teso a dimostrare che in un universo deterministico un agente potrebbe agire diversamente da come di fatto agisce soltanto nel caso in cui egli fosse in grado di modificare il passato o le leggi di natura: due alternative palesemente inattuabili. Da ciò segue che, in un mondo deterministico, gli agenti, non potendo agire diversamente da come agiscono, non sono mai liberi: una conclusione che mostra l'insostenibilità del compatibilismo. Il "Consequence Argument" ha attirato molti consensi, ma anche varie critiche; nel mio intervento, tuttavia, io ne assumerò la correttezza e discuterò piuttosto di un altro complesso aspetto della questione: la relazione concettuale che intercorre tra libertà metafisica e indeterminismo.
Chi accetta il "Consequence Argument" - e ammette dunque l'incompatibilità tra libertà metafisica e determinismo - , si trova infatti di fronte un altro arduo compito: quello di mostrare la compatibilità della libertà metafisica con l'indeterminismo. Un tale compito, perseguito dagli incompatibilisti libertari, è però certamente assai arduo, e anzi, secondo alcuni autori, del tutto irrealizzabile. Ma se ciò è vero - se cioè la nozione di libertà metafisica è veramente inconciliabile tanto con il determinismo quanto con l'indeterminismo -, non appare irragionevole concludere (come hanno fatto per esempio T. Nagel e G. Strawson) che è la nozione stessa di libertà metafisica che va rifiutata in quanto incoerente. A mio parere, tuttavia, una tale scettica conclusione è affrettata, poiche' le prospettive dell'incompatibilismo libertario paiono assai più promettenti di quelle del compatibilisimo: prima di rinunciare alla nozione stessa di libertà esse vanno dunque senz'altro esplorate.
Nel mio intervento discuterò dunque tre delle principali opzioni che si presentano all'incompatibilismo libertario contemporaneo: l'indeterminismo radicale (C. Ginet); la teoria dell' "agent causation" (R. Chisholm, C. Taylor, T. O'Connor); l'indetermismo causale (R. Nozick, R. Kane). A mio giudizio le prime due posizioni non aprono, per il libertarismo, prospettive incoraggianti. L'indeterminismo radicale non sembra, infatti, in grado di distinguere tra libertà metafisica e assoluta casualità, laddove la dottrina dell"'agent causation" parrebbe implicare un dualismo ontologico che appare tanto oscuro quanto costruito ad hoc per dare soluzione alla questione del libero arbitrio. La terza prospettiva è invece, a mio giudizio, assai più promettente: la tesi secondo la quale le ragioni per cui agiamo causano indeterministicamente le azioni sembra infatti in grado di dare ragione delle nostre intuizioni prefilosofiche sulla libertà, senza peraltro implicare la completa casualità o dubbi impegni ontologici.
Restano tuttavia aperte alcune questioni fondamentali: l'indeterminismo causale è veramente in grado di sfuggire al rischio dell'indeterminismo radicale, ovvero quello di ridurre la lìbertà a casualità? Quale rapporto intercorre tra íl processo di causazione indeterministica delle azioni e il carattere teleologico che ineliminabilmente le azioni esibiscono? E quale spazio viene lasciato dall'indeterminismo causale ad una analisi scientifica del mentale? 

 
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