Mario
De Caro (decaro@phil.uniroma3.it)
(mdecaro@fas.harvard.edu)
Università di Roma 3
Determinismo e libertà metafisica
La cesura interna alla filosofia contemporanea di matrice analitica
tra quanti concepiscono l'indagine filosofica come un'impresa intellettuale
sostanzialmente contigua alla scienza per metodo, contenuti e finalità
e quanti avversano tenacemente tale impostazione si manifesta oggi in tutta
chiarezza nel dibattito riguardante la veneranda questione della libertà
metafisica (ciò che, con tono un po' antiquato, si dice anche
"libero arbitrio"). Il nodo centrale di tale dibattito è rappresentato
dalla questione della compatibilità tra libertà metafisica
e determinismo. In questa prospettiva, il punto non è tanto se il
mondo attuale sia o non sia deterministico, quanto piuttosto se la libertà
sia inconciliabile in linea di principio con la necessità
propria della causazione nomologica. I difensori del compatibilismo (da
P. Strawson a D. Dennett, da G.H. von Wright a A. Kenny), rifacendosi alle
tesi di Hobbes e della tradizione empiristica nonche', più direttamente,
alle analisi dei neopositivisti (Schlick, Ayer) e di G.E. Moore, negano
recisamente che in un mondo deterministico non vi sia spazio per la libertà
(con le parole di Davidson: «Hobbes, Hume, Moore, Schlick, Ayer,
Stevenson e un gran numero di altri autori hanno fatto tutto ciò
che può essere fatto, o tutto ciò che si dovrebbe fare, per
rimuovere le confusioni che inducono a ritenere che il determinismo elida
la libertà»). Molti, peraltro, si spingono ancora oltre, affermando
che la nozione di libertà metafisica presuppone quella di
determinazione.
Una tale concezione trova la propria ragione ultima in un'assuzione
metafisica di impronta scientifica (o scientistica, secondo gli autori
non simpatetici) che grosso modo può essere così articolata:
la fisica dimostra che, almeno a livello macroscopico, nei loro movimenti
i corpi manifestano comportamenti sostanzialmente deterministici; se dunque
si accetta un'ontologia naturalistica d'impronta fisicalistica (come fanno
la maggior parte dei filosofi analitici contemporanei), si deve riconoscere
che le azioni degli esseri umani, non potendo rappresentare un'eccezione
alla legalità naturale, ricadono completamente nel quadro della
struttura nomologico-causale che governa l'universo microscopico. Si deve
da ciò concludere (come facevano gli illuministi) che l'idea di
libero arbitrio sia solo una fantasia dei filosofi? Assolutamente no, sostengono
i compatibilisti: se si rinuncia, infatti, alle velleitarie pretese metafisiche
di quanti pretendono di assegnare agli esseri umani uno statuto ontologico
speciale, diviene evidente che non c'è nulla di contraddittorio
nell'idea di azioni che siano, nello stesso tempo, libere e determinate.
Così si esprime in proposito Quine: «Al pari di Spinoza, Hume
e di tanti altri, io ritengo che un'azione sia libera nel caso in cui i
motivi o le pulsioni dell'agente rappresentino un anello nella catena causale
che conduce a quell'azione». L'atto volitivo, qualora sia libero
da costrizioni esterne, garantisce in questa prospettiva la libertà
dell'azione; tale atto tuttavia, non è che l'anello finale di una
catena causale di eventi totalmente determinati. Secondo i difensori del
compatibilismo, ritenere che ciò non sia sufficiente per definire
la nozione di libertà - ritenere in particolare che la deliberazione
umana debba essere incausata o causata non deterministicamente, come pretendono
gli incompatibilisti -, significa ricadere in un'inaccettabile forma di
oscurantismo metafisico.
L'incompatibilismo - che ha in S. Clarke, T. Reid e W. James i propri
precursori - difende un punto di vista del tutto antitetico a questo e
vede uniti nella polemica anitiscientistica autori di formazione europea,
per i quali ha giocato un ruolo decisivo l'insegnamento del secondo Wittgenistein
(G.E. Ansconbe, N.Malcom), e filosofi americani che hanno reagito, in varia
misura, al paradigma naturalistico oggi dominante negli Stati Uniti (R.
Chisholm, P.Inwagen, C. Ginet). Gli incompatibilisti fanno appello a un'intuizione
prefilosofica che è, a loro giudizio, nitidamente sedimentata nell'uso
quotidiano del termine "libertà": secondo tale intuizione, la nozione
metafisica di libertà non implica soltanto l'assenza di costrizioni
esterne e l'esistenza di un nesso causale tra ragioni e azioni (condizioni
su cui i compatibilisti concorderebbero), ma anche (e fondamentalmente)
la "possibilità di fare altrimenti", la quale parrebbe completamente
preclusa in un mondo deterministico. A questa obiezione i compatibilisti
hanno tradizionalmente risposto offrendo un'analisi condizionale della
nozione di "poter fare altrimenti": un'azione, in tale ottica, è
libera se e solo se l'agente avrebbe potuto compiere una diversa
azione qualora lo avesse desiderato. Secondo gli incompatibilisti,
tuttavia, tale risposta è del tutto insoddisfacente e negli ultimi
anni alcuni di loro (van Inwagen, D. Wiggins) hanno proposto diverse versioni
di un argomento (il "Consequence Argument") teso a dimostrare che in un
universo deterministico un agente potrebbe agire diversamente da come di
fatto agisce soltanto nel caso in cui egli fosse in grado di modificare
il passato o le leggi di natura: due alternative palesemente inattuabili.
Da ciò segue che, in un mondo deterministico, gli agenti, non potendo
agire diversamente da come agiscono, non sono mai liberi: una conclusione
che mostra l'insostenibilità del compatibilismo. Il "Consequence
Argument" ha attirato molti consensi, ma anche varie critiche; nel mio
intervento, tuttavia, io ne assumerò la correttezza e discuterò
piuttosto di un altro complesso aspetto della questione: la relazione concettuale
che intercorre tra libertà metafisica e indeterminismo.
Chi accetta il "Consequence Argument" - e ammette dunque l'incompatibilità
tra libertà metafisica e determinismo - , si trova infatti di fronte
un altro arduo compito: quello di mostrare la compatibilità della
libertà metafisica con l'indeterminismo. Un tale compito,
perseguito dagli incompatibilisti libertari, è però
certamente assai arduo, e anzi, secondo alcuni autori, del tutto irrealizzabile.
Ma se ciò è vero - se cioè la nozione di libertà
metafisica è veramente inconciliabile tanto con il determinismo
quanto con l'indeterminismo -, non appare irragionevole concludere (come
hanno fatto per esempio T. Nagel e G. Strawson) che è la nozione
stessa di libertà metafisica che va rifiutata in quanto incoerente.
A mio parere, tuttavia, una tale scettica conclusione è affrettata,
poiche' le prospettive dell'incompatibilismo libertario paiono assai più
promettenti di quelle del compatibilisimo: prima di rinunciare alla nozione
stessa di libertà esse vanno dunque senz'altro esplorate.
Nel mio intervento discuterò dunque tre delle principali opzioni
che si presentano all'incompatibilismo libertario contemporaneo: l'indeterminismo
radicale (C. Ginet); la teoria dell' "agent causation" (R. Chisholm, C.
Taylor, T. O'Connor); l'indetermismo causale (R. Nozick, R. Kane). A mio
giudizio le prime due posizioni non aprono, per il libertarismo, prospettive
incoraggianti. L'indeterminismo radicale non sembra, infatti, in grado
di distinguere tra libertà metafisica e assoluta casualità,
laddove la dottrina dell"'agent causation" parrebbe implicare un dualismo
ontologico che appare tanto oscuro quanto costruito ad hoc per dare
soluzione alla questione del libero arbitrio. La terza prospettiva è
invece, a mio giudizio, assai più promettente: la tesi secondo la
quale le ragioni per cui agiamo causano indeterministicamente le azioni
sembra infatti in grado di dare ragione delle nostre intuizioni prefilosofiche
sulla libertà, senza peraltro implicare la completa casualità
o dubbi impegni ontologici.
Restano tuttavia aperte alcune questioni fondamentali: l'indeterminismo
causale è veramente in grado di sfuggire al rischio dell'indeterminismo
radicale, ovvero quello di ridurre la lìbertà a casualità?
Quale rapporto intercorre tra íl processo di causazione indeterministica
delle azioni e il carattere teleologico che ineliminabilmente le azioni
esibiscono? E quale spazio viene lasciato dall'indeterminismo causale ad
una analisi scientifica del mentale?
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